“Siamo ancora alla ricerca di verità e giustizia” mentre in Egitto “i diritti umani continuano a essere violati con azioni sistematiche”. Era il messaggio che Paola e Claudio Regeni, genitori di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso in Egitto, avevano fatto pervenire alla terza edizione Festival Internazionale di Giornalismo Civile “Imbavagliati” e al “Premio Siani”, nell’ultima giornata della manifestazione per la libertà di stampa, proprio nel giorno in cui si ricordava Giancarlo Siani. La lettera era stata scritta a dieci giorni di distanza dalla decisione del Tribunale di Sicurezza nazionale egiziano di tenere in carcere Ibrahim Metwally, rappresentante legale della famiglia Regeni al Cairo. “Abbiamo bisogno della vostra scorta mediatica – si leggeva nella lettera – dopo il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo occorre tenere i riflettori puntati su quanto sta accadendo in Egitto perché la collaborazione della procura e delle istituzioni egiziane non sia solo proclamata ma divenga effettiva. Noi ad oggi ancora dobbiamo vedere il fascicolo aperto dalla procura egiziana sul rapimento, le torture e l’uccisione di Giulio – concludeva il messaggio – e ancora stiamo aspettando che i nostri consulenti al Cairo vengano ricevuti dal procuratore Sadek. State con noi, con Giulio, con tutti i Giuli e le Giulie d’Egitto e con chi li difende”. A farsi portavoce delle parole della famiglia Regeni era stato Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione Nazionale Stampa italiana, nel corso del dibattito “Mai più soli: l’importanza della scorta mediatica per i giornalisti minacciati”, con Nello Trocchia, Sandro Ruotolo e Paolo Borrometi, tre giornalisti sotto scorta che sono intervenuti all’iniziativa “Siani per Ilaria Alpi”. Quello dei coniugi Regeni non è stato l’unico messaggio giunto agli organizzatori di “Imbavagliati”: Luciana Alpi, in poche righe affidate al presidente della FNSI, aveva lanciato un appello affinché si riaccendano i riflettori sulla morte della figlia Ilaria e dell’operatore Miran Hrovatin in Somalia. “Da ventitré anni continuiamo a reclamare verità e giustizia – si leggeva nell’appello – una battaglia sempre più difficile perché la procura di Roma ha deciso di proporre la definitiva archiviazione delle indagini. Giancarlo Siani come Ilaria credeva in un giornalismo civile capace di essere al servizio della comunità ed è stato ucciso proprio perché aveva scelto di onorare il suo mestiere di giornalista e di non rinunciare mai alla ricerca della verità. Gli stessi principi che hanno ispirato le scelte etiche e professionali di Ilaria che ha perso la vita per aver cercato di svelare il malaffare e la corruzione. Non abbiamo alcuna intenzione di arrenderci e compiremo ogni sforzo per impedire questa archiviazione e per sollecitare un nuovo filone di indagini”.
Oggi, 14 novembre saranno trascorsi tre mesi dall’annuncio del ritorno dell’ambasciatore italiano in Egitto e due dal suo effettivo reinsediamento all’ambasciata al Cairo. Come promesso in occasione di ogni 14 del mese, la “scorta mediatica” promossa a fine settembre ad Assisi in occasione dell’Assemblea di Articolo 21 e nata ufficialmente il 14 ottobre, chiederà di conoscere i nomi di chi sequestrò, fece sparire, torturò e uccise Giulio Regeni al Cairo ormai quasi 22 mesi fa.
A Napoli Déisrée Klain (portavoce di “Articolo21 Sezione Campania”) e Claudio Silvestri, segretario del Sindacato Unitario Giornalisti della Campania, con la “Fondazione Polis”, chiederanno oggi, come ogni ogni 14 del mese, quali sono stati i passi avanti compiuti per ripristinare verità e giustizia per Giulio Regeni, attraverso un gesto simbolico: uno striscione sarà apposto vicino alla Mehari di Giancarlo Siani (simbolo della “Libertà d stampa”), custodita al Museo Pan di Napoli.
Perché non si vuole che il ripristino delle normali relazioni diplomatiche tra Italia ed Egitto faccia calare il silenzio sulla morte di Giulio. E che si continui a tenere alta l’attenzione anche sui tanti egiziani che subiscono la stessa sorte di Regeni. Come vogliono i genitori di Giulio.