#IoStoConPaoloBorrometi. Attacchi mediatici contro Paolo Borrometi, il giornalista, presidente di Articolo 21, famoso per le sue inchieste contro alcuni capi mafiosi siciliani: un sistema che ha provato a chiudergli la bocca con un’autobomba. Infatti, il tribunale ha confermato che “sono accertati i contatti tra Giuliano ed il clan Cappello” per la realizzazione di un attentato. Oggi, lo stesso Sistema tenta di isolarlo attraverso articoli, che trasformano la realtà e con un uso della difesa spregiudicato da parte di alcuni avvocati che arrivano a stravolgere le sentenze dei giudici.
“Forse per qualcuno il vero problema è che io non sia ancora morto – scrive il giornalista in un editoriale su articolo21.org – che sono vivo e continuo a scrivere. Non rimango in silenzio questa volta, visto che parliamo non della mia (sola) vita, ma di quella di cinque persone della mia scorta, delle loro famiglie, dei nostri affetti, e non accetto che qualcuno continui con questo “mascariamento”.
In una recente intervista, anche il New York Times ha parlato della storia di Borrometi. Nell’articolo, viene posto in evidenza come praticamente le inchieste portate avanti dal cronista abbiano bloccato i traffici di alcune aziende gestite da malavitosi.
“Non solo i malavitosi si sono sentiti attaccati da un reporter, ma hanno perso milioni di euro in entrate”, scrive la reporter del giornale oltreoceano.
Ma in Italia, purtroppo, Paolo Borrometi è solo uno dei 200 giornalisti che oggi vivono sotto scorta. Persone che hanno barattato la propria libertà personale per la libertà di informazione. Queste storie non fanno altro che ricordarci che non si può assolutamente imbavagliare la verità.
“Quando mi hanno chiamato dal New York Times – spiega Borrometi – ho subito spiegato che non volevo che il fenomeno fosse personalizzato, ma che si parlasse dei tanti altri colleghi che vivono la stessa situazione in Italia. La lotta per la libertà all’informazione non può essere opera di navigatori solitari, bisogna spersonalizzare il singolo e contrastare i bavagli attraverso il ‘noi'”.