DoganÖzgüden è il primo ospite della manifestazione Imbavagliati: l’affollatissimo incontro con il giornalista turco si apre in chiave autobiografica. Özgüden spiega al pubblico di aver iniziato a lavorare nel 1952 a Smirne come stenografo per pagarsi gli studi, finché si è appassionato al mestiere di giornalista che ormai svolge da oltre sessant’anni. Tuttavia solo dopo il secondo conflitto mondiale il giornalista acquisisce una visione più internazionale della politica, grazie a un suo amico italofono del quale traduceva alcuni articoli. Özgüden ha cominciato così a rendersi conto che, fin da allora, il suo paese era rinchiuso in una gabbia ideologica.
“Dopo 45 anni di esilio, devo constatare che in Turchia esiste ancora una forte violazione dei diritti umani, in particolare riguardo la libertà di espressione e di stampa, nonostante le promesse fatte dai vari regimi che si sono succeduti sul territorio”, continua Dogan. Il giornalista ricorda che già nel 1951 il Partito Democratico prometteva di salvaguardare queste libertà, mentre centinaia di intellettuali venivano condannati per il loro impegno politico. Tant’è vero che lui e la moglie Inge furono costretti a fuggire all’estero, solo perché avevano fondato una rivista non conformista.
Dopo il colpo di stato del ’60 il regime assicurò alcune riforme a favore della libertà di stampa e di espressione. In realtà effettuò una nuova repressione contro i giornalisti progressisti. La vicenda di Aziz Nesin ne è la prova. Era un umorista turco riconosciuto a livello internazionale e fu ucciso.
Molte azioni deplorevoli effettuate nel tempo dai diversi poteri centrali non sono state mai denunciate, proprio perché non c’è mai stata una vera libertà di espressione. Il giornalista ricorda nel 1915 il primo genocidio del secolo da parte dell’Impero Ottomano nei confronti degli Armeni. Ancora nel 1923 più di un milione di Greci furono deportati. Dogan non dimentica, inoltre, lo sterminio dei curdi nelle regioni del sud-est e nel 1934 quello delle comunità ebraiche. Genocidi mai denunciati, anzi spesso addirittura approvati dai media, costantemente sotto il controllo del regime.
Dogan fornisce anche alcune statistiche per quanto riguarda le uccisioni avvenute in Turchia dall’inizio del secolo: 120 giornalisti, anche curdi, e 30 armeni.
Il 12 settembre 1980 è avvenuto un colpo di stato sanguinoso portato avanti dai militari turchi, a cui ha fatto seguito l’approvazione di una costituzione razzista e dispotica. Ci sono stati 650.000 arresti, decine di migliaia di persone torturate, 517 condanne alla pena capitale e 50 esecuzioni. Quattordicimila cittadini turchi sono stati privati della loro nazionalità (tra cui Dogan stesso e la moglie Inge). La “nuova” costituzione del 1982 nega i diritti dei curdi, degli armeni, e di altri gruppi etnici. Addirittura, gli articoli 3, 4 e 56 affermano la superiorità della razza turca rispetto alle altre.
In questo momento in Turchia avvengono numerosi arresti di giornalisti Alcune delegazioni internazionali a Istanbul hanno protestato per la spaventosa repressione in atto. Hanno affermato che il colpo di stato del 15 luglio 2016 e la dichiarazione dello stato di emergenza legittimano le repressioni già in atto. Oggi è possibile incarcerare i giornalisti senza una comunicazione preventiva ed è interdetto il diritto di consultare un avvocato o incontrare le famiglie.
In pratica, Erdogan sta trasformando la Repubblica laica della Turchia in uno Stato islamico.
Al dibattito sono intervenuti Marco Cesario, reporter napoletano e autore del libro Sansur, che parla proprio della censura nel territorio turco, Ottavio Lucarelli, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, e Ottavio Ragone, caporedattore delle pagine napoletane del quotidiano “La Repubblica”.
La giornata è stata accreditata come corso di aggiornamento dell’Ordine dei Giornalisti della Regione Campania.