di Giuliano Delli Paoli

“Un mondo in cui la musica è in ostaggio non è un mondo degno di essere salvato”. Non è un aforisma preso in prestito da qualche anonimo del web, ma la triste realtà che imperversa ancora oggi in molti luoghi del pianeta. Offese, censure, minacce, boicottaggi, condanne a morte. Dalla democratica Polonia all’instabile Nigeria, passando per la controversa Russia di Putin e la giovane Tunisia. Sono solo alcuni dei paesi nei quali manifestare il proprio dissenso attraverso la musica è un problema. Periferie del mondo in cui le canzoni di protesta talvolta sono un nemico da combattere per governanti e malaffare. E i musicisti dei ribelli da zittire con ogni mezzo, se necessario anche con la violenza e il carcere duro. Storie di giovani cantori del disagio come la polacca Maria Peszek odiata quasi da tutti in patria per le sue canzoni contro l’omofobia e a sostegno dei diritti Lgbt. O il  giovane nigeriano Yahaya Sharif-Aminu, che il 10 agosto 2020 un tribunale islamico ha giudicato colpevole di blasfemia, incarcerato e condannato all’impiccagione per aver scritto e cantato il proprio omaggio a un “imam superiore al Profeta”. Storie di musicisti imbavagliati, relegati ai margini nel silenzio assordante dei media e dell’opinione pubblica. Storie di canzoni scomode che pochi hanno il coraggio di cantare. E che in mondo degno di essere salvato non possono non essere raccontate e sostenute. 

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